La rappresentazione mentale nella filosofia medievale
The following is the translation of Henrik Lagerlundâs entry on âMental Representation in Medieval Philosophyâ in the Stanford Encyclopedia of Philosophy.  The translation follows the version of the entry in the SEPâs archives at https://plato.stanford.edu/archives/win2020/entries/representation-medieval/ . The translated version may differ from the current version of the entry, which may have been updated since the time of this translation. The current version is located at https://plato.stanford.edu/entries/representation-medieval/  . Weâd like to thank the Editors of the Stanford Encyclopedia of Philosophy for granting permission to translate and to publish this entry on the web.
Nella filosofia della mente contemporanea, le nozioni di rappresentazione mentale e intenzionalitĂ sono intrinsecamente correlate, poichĂŠ si pensa solitamente che uno stato mentale abbia un contenuto o verta su qualcosâaltro rispetto a se stesso in virtĂš della sua natura rappresentazionale. Queste nozioni hanno una storia parallela anche nella filosofia medievale, ma è stata l’intenzionalitĂ che ha attratto lâattenzione degli studiosi medievalisti (per esempio, in Knudsen 1982, Pasnau 1997, Perler 2001 e Perler 2002); sulla rappresentazione mentale ci sono stati pochi studi (Tweedale 1990, Pasnau 1997, King 2007 e Lagerlund 2007a).
Una delle maggiori ragioni dellâinteresse per l’intenzionalitĂ nella filosofia medievale è da rintracciarsi nel riconoscimento di una nozione scolastica che Franz Brentano aveva rivisitato quando introdusse l’intenzionalitĂ come âil marchio del mentaleâ (Brentano 1874). Ma Brentano non usò mai la terminologia di rappresentazione per spiegare l’intenzionalitĂ . Questo fu fatto molto piĂš tardi, nella filosofia della mente post-Wittgensteiniana. Nella filosofia medievale era comunque comune spiegare il contenuto di un pensiero riferendosi alla sua natura rappresentazionale.
Ci sono una varietĂ di teorie della rappresentazione mentale nella filosofia medievale che furono intensamente discusse dal dodicesimo secolo al tempo di Cartesio. Questo articolo ripercorrerĂ brevemente la storia della terminologia e fornirĂ anche una breve panoramica delle maggiori teorie sviluppate durante il tredicesimo e quattordicesimo secolo.
1. Il contesto antico e la formazione del concetto
Le parole inglesi ârappresentazioneâ e ârappresentareâ derivano attraverso il francese antico dalle parole latine ârepraesentatioâ e repraesentareâ. Queste non sono parole comunemente usate nel latino classico. Solo nel pensiero tardo-antico questi termini saranno usati principalmente da Quintiliano e Tertulliano in modo filosoficamente interessante. Dâaltra parte, non è prima della traduzione latina del De Anima di Avicenna che questi termini diventarono frequentemente usati in connessione con cognizione e mente o anima intellettiva (vedi Lagerlund 2007 b).
I traduttori latini di Avicenna resero numerosi termini, tutti correlati in arabo con cognizione e sensi interni, con il latino ârepraesentatioâ. Nel fare questo, essi, intenzionalmente o meno, plasmarono il concetto di rappresentazioni nellâanima. Il concetto di rappresentazione nella traduzione latina di Avicenna è associato a tutte e cinque le facoltĂ : le forme ricevute attraverso il senso comune e immagazzinate nella fantasia sono chiamate rappresentazioni; la facoltĂ immaginativa o cogitativa combina e divide rappresentazioni raccolte nella fantasia per creare nuove rappresentazioni che potrebbero non avere alcun oggetto reale corrispondente a esse; i sensi apprendono le forme sensibili degli oggetti percepiti; la facoltĂ estimativa apprende la âintentioâ o âmaânaâ dell’oggetto percepito. Secondo questa visione della cognizione, le rappresentazioni nellâimmaginazione costituirebbero anche la base per l’attivitĂ intellettuale:
Nellâintelletto, la forma dell’animale è del tipo che concorda con una stessa identica definizione di molte [cose] particolari. Quindi, una forma nellâintelletto sarĂ connessa con molte cose, ed è in questo senso che è universale, perchĂŠ essa è unâintenzione nellâintelletto⌠che è evidente dal momento che di queste [cose] rappresentate dalla forma nell’immaginazione, l’intelletto ha saccheggiato l’intenzione dei suoi accidenti [e] acquisito la forma nellâintelletto. (Liber de philosophia prima sive scientia divina, V, cap. 1, p. 237).
Avicenna qui descrive il processo dellâastrazione, ovvero come la rappresentazione nell’immaginazione di cose particolari diventi universale nellâintelletto. Le forme universali sono astratte da rappresentazioni nellâimmaginazione e fluiscono dall’ intelletto attivo verso quello passivo. Si noti, comunque, che la terminologia di rappresentazione non è mai usata in relazione all’intelletto. Sono sempre i sensi interni e non l’intelletto o i sensi esterni che, in Avicenna, compiono la rappresentazione (vedi Lagerlund 2007b, per una tavola dell’intera gamma dei termini tradotti da ârappresentazioneâ nelle opere di Avicenna).
Una delle ragioni per cui ârappresentazioneâ è usata solamente in relazioni ai sensi interni è che le rappresentazioni sono considerate alla stregua di immagini. La nozione di rappresentazioni linguistiche o rappresentazioni come segni non è presente nellâopera di Avicenna o in altre opere dello stesso periodo. Questa nozione sembra, invece, derivare dalla logica. Le prime opere di logica come la Dialectica (17) di Garlando Compotista e la Dialectica di Abelardo (II, 188) discussero una distinzione tra il significato della parola per imposizione e per rappresentazione. Un termine denominativo come âbiancoâ sta a significare per imposizione una sostanza che è bianca, ma al contempo significa per rappresentazione la bianchezza inerente alla sostanza: la cosa bianca sta per qualcosa o è una istanziazione della bianchezza, mentre il bianco è ri-presentato nellâoggetto. Garlando menziona l’esempio di un viaggiatore (âviatorâ) che si può dire rappreenti una strada (âviaâ). Il termine âviaggiatoreâ significa per imposizione l’essere umano che è il viaggiatore, ma rappresenta anche la strada su cui il viaggiatore viaggia. Ă esattamente questo uso di rappresentazione applicato ai segni mentali che diventa importante con Ockham e Buridano.
2. Tommaso dâAquino e lâidentitĂ formale
Nel tredicesimo secolo la teoria piĂš influente sul pensiero filosofico può essere fatta risalire ad Aristotele, e annovera Tommaso d’Aquino tra i suoi maggiori difensori. Questa teoria si basa sullâidea secondo cui le rappresentazioni mentali o specie intelligibili, come le chiama Tommaso, possiedono identitĂ di forma: la spiegazione per cui i pensieri vertono su qualcosa, manifestano intenzionalitĂ , o rappresentano, si basa sul fatto che la forma dell’oggetto su cui verte il pensiero risulta essere nella mente del pensante. Secondo una metafora popolare, il pensare qualcosa, secondo questa visione, consiste nellâ essere lâoggetto su cui verte il pensiero, nel senso che l’intelletto diventa l’oggetto in questione o ne assume la forma.
Sulla scia di Aristotele (De anima III.4), Tommaso asserisce che la mente o la parte intellettiva dell’anima non ha natura o, piuttosto, non è niente fino al momento in cui non pensa a qualcosa. L’intelletto attivo astrae la specie intellegibile dalla specie sensibile nei sensi interni e la pone nellââintelletto potenziale. Tommaso in questo si avvicina molto alla visione che, come abbiamo visto in precedenza, difende Avicenna: la specie intelligibile nellâintelletto potenziale costituisce il pensiero. Inoltre, secondo Tommaso, l’intelletto è immateriale e, dal momento che egli, come è noto, ritiene che la materia costituisca il principio di individuazione, la specie intelligibile nellâintelletto potenziale non è altresĂŹ individuale ma universale. Questo è il motivo per cui Tommaso sostiene che un pensiero è sempre universale.
Ci sono molti problemi associati con questa posizione sulla rappresentazione mentale. Un famoso problema è: perchĂŠ i narcisi che sono allâesterno della mia anima non vertono sul mio pensiero dei narcisi? Infatti, si presuppone che le forme interne ed esterne alla mia mente siano le stesse, quindi, la rappresentazione mentale dovrebbe essere simmetrica. Tommaso dĂ una risposta famosa a questo problema: i narcisi nel giardino non vertono sul mio pensiero in virtĂš del modo in cui la forma è presente in essi; le forme nei narcisi sono realmente o naturalmente presenti, mentre la forma universale nella mia mente è spiritualmente o intenzionalmente presente.
La distinzione tra forme presenti in modo reale/naturale e forme presenti in modo spirituale/intenzionale risulta centrale nella teoria della cognizione di Tommaso. Una forma può essere presente da qualche parte senza rendere qualunque sostanza che essa informa qualcosa d’altro. I colori nellâaria, per esempio, non rendono l’aria davvero colorata: vediamo i colori negli oggetti intorno a noi ma non nell’aria interposta, nonostante questi debbano essere spiritualmente lĂŹ se la sensazione è un processo causale. Questo significa, certamente, che l’aria deve in qualche modo contenere il colore. Per questo, secondo Tommaso l’intenzionalitĂ non è un marchio del mentale: infatti, lâaria non è in se stessa una mente (per discussione vedi Pasnau 1997, cap. 2).
3. Pietro Olivi e il rifiuto della identitĂ formale
Tra i primi a criticare, nel tardo tredicesimo secolo, la teoria della cognizione delle specie fu Pietro Olivi. Egli afferma, contrariamente ad Aristotele e Tommaso, che la mente è attiva nella sua cognizione del mondo, ovvero che essa è rivolta allâoggetto. Proprio questa sua idea mette la sua teoria della cognizione delle specie in una luce completamente differente. Infatti, secondo Olivi, è inutile postulare una specie attraverso cui lâoggetto è conosciuto. Egli afferma:
Terzo, poichè l’attenzione tenderĂ verso la specie in una tal maniera che non passerebbe oltre allâ essere rivolta all’oggetto, oppure in un tal modo che passerebbe oltre. Se fosse il primo caso, allora la cosa non sarĂ vista in se stessa, ma sarĂ vista solo la sua immagine come se fosse la cosa stessa. Questo è il ruolo di una specie della memoria, non un ruolo visuale. Se fosse il secondo caso, allora dopo lâosservazione della specie sarĂ osservato lâoggetto in se stesso. In questo modo, si riconoscerĂ lâoggetto in due modi, prima attraverso le specie e successivamente in se stesso. SarĂ , infatti, come quando qualcuno vede lo spazio interposto e poi oltre questo vede lâoggetto fissato. (Pietro Giovanni Olivi, Quaestiones in secundum librum Sententiarum, III, q. 74, 123).
In questo passaggio sembra chiaro che per Olivi la specie è una cosa in se stessa e che ci sono realmente tre cose implicate nella cognizione di un oggetto: l’oggetto, la specie, e il conoscente. Secondo la sua visione, la specie è una rappresentazione, ovvero una cosa che sta al posto dell’oggetto nella mente. Il maggiore problema che egli individua con questa teoria è quindi epistemologico: come possiamo essere sicuri che stiamo conoscendo l’oggetto e non la specie? (vedi Toivanen 2009, cap. 4). Olivi, quindi, afferma che questa terza cosa rappresentante non è necessaria e che la mente può essere rivolta all’oggetto direttamente. In seguito, nel primo quattordicesimo secolo, Ockham riproporrĂ un argomento simile contro la teoria delle specie.
Sia Olivi che Ockham sembrano assumere che le specie siano rappresentazioni e, quindi, una cosa aggiunta all’oggetto e al conoscente. Tuttavia, si possono rilevare due versioni della teoria della cognizione delle specie nel tredicesimo secolo. Quella piĂš influente è soprattutto riconducibile a Roger Bacon secondo cui le specie sono rappresentazioni, ovvero, immagini reali estese, come oggetti rappresentanti la cosa conosciuta al conoscente. L’altra versione della teoria fu difesa da Tommaso, secondo cui le specie non sono rappresentazioni ma le forme stesse degli oggetti conosciuti secondo un differente modo dâessere. Le specie non sono reali ma spirituali e, come tali, non producono cambiamenti fisici, come, per esempio, quello dell’occhio in una percezione visuale, ma solo un cambiamento spirituale.
Lâobiezione di Olivi menzionata sopra non si applica alla teoria di Tommaso dal momento che, secondo la sua visione, le specie non sono rappresentazioni reali. Olivi stesso sembra consapevole di questo, comunque, e afferma che se le specie hanno un essere spirituale, allora esse non possono âveramente e naturalmente fluire da una forma naturale e corporea, [e] non possono informare realmente e veramente un corpo naturale come, per esempio, l’aria o l’occhioâ. (Sententiarum II, q. 73, 87). Secondo la teoria di Tommaso le specie non possono affliggere l’organo di senso e causare la cognizione. Per questo, le specie non possono rivestire il ruolo che si suppone esse giochino in una teoria della cognizione o teoria della visione.
Tuttavia, Olivi non elimina del tutto le specie poichĂŠ pensa che la memoria utilizzi le specie, ovvero delle rappresentazioni costruite da noi stessi. Egli lo chiarisce nel seguente passaggio:
Gli atti cognitivi sono influenzati dal potere [cognitivo] â non, tuttavia, attraverso la sua nuda essenza. Piuttosto, in tutti [gli atti cognitivi] è richiesta unâattenzione attuale effettivamente terminante sullâoggetto [âŚ] E, inoltre, quando la cosa esteriore dentro-e-a proposito di se stessa (per se) non è posta davanti lâattenzione, ci deve essere una specie della memoria posta prima di questa in luogo dellâoggetto, chĂŠ [la specie] non è lâorigine dellâatto cognitivo, eccetto nella misura in cui serve come termine per o rappresentativo dellâoggetto. (Sententiarum II, q. 74, 1113).
Questo è lâuso piĂš comune di specie fatto dopo lâintroduzione di Olivi, secondo cui le specie sarebbero rappresentative.
4. Enrico di Gand e Giovanni Duns Scoto sul contenuto mentale
Per una serie di ragioni, il tardo tredicesimo secolo vide un crescente interesse nel campo dell’epistemologia. Uno dei motivi fu lo sviluppo di nuove teorie delle rappresentazioni mentali e dellâintenzionalitĂ . Alcuni di questi sviluppi erano dovuti, da una parte, alle caratteristiche problematiche della visione di Tommaso sulla rappresentazione mentale e, dallâaltra, allâinterpretazione proposta da Enrico di Gand della concezione di Agostino della cognizione divina. Tommaso sembra aver mantenuto che la specie intelligibile giochi un doppio ruolo sia come universale comune a tutti noi che lo pensiamo sia come lo stesso mio pensiero individuale. Ă difficile vedere come una tale visione possa essere mantenuta senza l’introduzione di un qualche tipo di distinzione. Parallelamente, Enrico reinterpreta la dottrina sulle idee divine di Agostino e introduce una distinzione tra idee e natura divina: le idee sono possibilia o nature di cose possibili che potrebbero essere create (de Rijk 2005: 81- 84).
Entrambe queste visioni contribuiscono all’introduzione della distinzione tra il mezzo e il contenuto della rappresentazione. La distinzione sviluppata da Enrico in relazione alla natura divina fu immediatamente adottata soprattutto nei dibattiti a proposito della cognizione umana. Essa fu applicata alla teoria della rappresentazione mentale di Tommaso, facendo un passo ulteriore grazie all’introduzione di una distinzione tra la cosa rappresentante e la cosa rappresentata.
Giovanni Duns Scoto fu determinante nellâadattare questa visione alla cognizione umana. Scoto perfezionò la distinzione di Enrico, concependo la cosa che funge da rappresentante come un atto mentale o un concetto, che, ontologicamente parlando, è un accidente della mente, e la cosa rappresentata come la forma dell’oggetto pensato. Scoto affermò che l’accidente o atto mentale è soggettivamente nell’anima, mentre l’oggetto, essendo rappresentato, è oggettivamente presente o ha un essere oggettivo nella mente. Inoltre, secondo Scoto l’oggetto esiste come rappresentato per esprimere lâaspetto del contenuto della rappresentazione mentale (Ord. I, d.3, q. 1, n. 382). Attraverso questa distinzione, Scoto può anche mantenere che tutto il cambiamento spirituale sopravvenga a un cambiamento reale (vedi Cross 2014).
Scoto, quindi, ebbe un chiaro modo di esprimere ciò che Brentano successivamente denominò intenzionalitĂ , ovvero il modo in cui l’oggetto del pensiero esiste nella mente: lâoggetto del pensiero che secondo Scoto ha un’esistenza oggettiva nella mente sarĂ in seguito definito da Brentano come marchio del mentale (vedi Normore 1986; Pasnau 2003; King 2007; Cross 2014). Nonostante i vantaggi di questo approccio rispetto a quello di Tommaso siano chiari, rimangono molti problemi riguardo allo statuto ontologico di questi contenuti mentali. A questo riguardo, il dibattito medievale è ben noto ed è caratterizzato da una grande varietĂ di opinioni (per una panoramica vedi Tachau 1988). Scoto stesso dice che gli oggetti del pensiero hanno una sorta di essere diminuito che si suppone essere uno stato tra l’essere reale e il non essere. Nonostante Ockham avesse inizialmente accettato una visione simile, in seguito la criticò ampiamente.
5. Guglielmo dâOckham e il linguaggio mentale
La teoria del linguaggio mentale nel quattordicesimo secolo fu soprattutto sviluppata da Guglielmo dâOckham. Questa teoria si basa su una concezione della rappresentazione mentale che combinava le nozioni di causa e significazione. Secondo questa visione, un concetto o un termine mentale rappresenta perchĂŠ è causato efficientemente da una cosa nel mondo, e il concetto significa quella determinata cosa del mondo anche in virtĂš della relazione causale esistente tra di essi. Secondo la visione di Ockham, una rappresentazione mentale o concetto è causata da una cognizione intuitiva. Egli spiega:
La cognizione intuitiva è la cognizione propria di un singolare non in virtĂš di una sua maggiore somiglianza ad una cosa piĂš che ad un’altra, ma in quanto questa è naturalmente causata da una cosa piuttosto che da unâaltra; neanche questa [stessa cognizione] può essere causata da un altro [particolare]. Se si obietta che questa può essere causata solamente da Dio, io rispondo che ciò è vero: una tale apprensione visuale è sempre atta ad essere causata da un oggetto creato e non da un altro; e se è causata naturalmente, è causata da una cosa e non da unâaltra, e non è possibile che sia causata da un’altra. (Quodlibeta Septem 1.13).
Secondo la metafisica di Ockham, nel mondo ci sono solo individui, cosicchĂŠ quando un individuo causa un concetto esistente nella mente tale individuo causa un concetto individuale e dunque una concezione singolare di se stesso. Nientâaltro può causare quel concetto (a parte forse Dio). Il concetto singolare funziona come la parola riferita all’oggetto che lâha causato nel nostro linguaggio del pensiero. Inoltre, questo concetto è un costituente atomico che può poi essere combinato per formare concetti piĂš complessi o frasi del linguaggio.
La nozione di Ockham di acquisizione del concetto e rappresentazione mentale è sviluppata come parte di una teoria molto sofisticata del pensiero che implica non solo una teoria della significazione ma anche unâintera gamma di proprietĂ logico-semantiche come la connotazione e la supposizione. Ciò spiega come i concetti, che a loro volta sono gli oggetti diretti della credenza e della conoscenza, sono assemblati in frasi mentali che descrivono il mondo (per i dettagli, vedi Pannaccio 2004).
6. Giovanni Buridano e i concetti vaghi
Le posizioni di Ockham e Giovanni Buridano sul pensiero sono, da una parte, molto simili, ma, dall’altra, sono determinate da differenze fondamentali. Questo è particolarmente vero per il modo in cui i due autori concepiscono la rappresentazione mentale. Un esempio tipico è rappresentato dalle loro visioni del pensiero singolare. Entrambi partono dalla stessa idea secondo cui pensare qualcosa di singolare è avere nella mente un concetto singolare, ma sono fondamentalmente in disaccordo su come appaia un concetto singolare, e soprattutto su come sia possibile che esso si agganci al mondo: secondo la posizione di Ockham, un concetto è singolare perchĂŠ la sua causa è propria, come egli la chiama, e le cause proprie sono necessariamente legate a un oggetto; ma secondo la posizione di Buridano, un concetto singolare è singolare in virtĂš della sua complessitĂ (complessitĂ semantica del significato puro, secondo Klima 2001: xxxviii â xiii e 2009: 40 -56). Secondo questa visione, il concetto singolare ha un contenuto descrittivo che gli permette di restringere la sua significazione ad una cosa sola (per la rilevanza di questa differenza con Ockham, vedi Klima 2009: 69-89).
Buridano pensa che conosciamo sempre o concepiamo qualcosa prima come singolare, e ciò significa anche che la concepiamo prima come questa o quella cosa, ovvero che la concepiamo come una determinata cosa. Secondo Buridano, questo significa che i nostri concetti sono sin dallâinizio carichi di contenuto, e un concetto completamente singolare porta con sĂŠ in tutte le circostanze qualunque cosa di ciò a proposito di cui esso è o rappresenta. PiĂš specificamente, un tale concetto è determinato e non vago in quanto si applica ad una sola cosa, ma, secondo Buridano, tale concetto è anche ciò che non acquisiamo fin da subito. I primi concetti singolari acquisiti sono i cosĂŹ detti concetti singolari vaghi: un concetto vago è singolare perchĂŠ è a proposito di una sola cosa, ma non è determinato ciò che essa sia; esempi di tali concetti sono âquesto uomoâ, âquesta tazzaâ, da cui il nome âsingolari vaghiâ. Partendo da questi, arriviamo a concetti singolari determinati aggiungendo un contenuto, e, in seguito, arriviamo a concetti universali astraendo dalle circostanze singolarizzanti.
Per spiegare come funziona questo processo, Buridano usa un esempio che dopo di lui diverrĂ un esempio standard per spiegare la cognizione singolare. Supponiamo che Socrate si avvicini da lontano: all’inizio, non posso dire esattamente ciò che vedo avvicinarsi; qualcosa (una sostanza) si sta facendo sempre piĂš vicina a me. Dopo un po’, vedo che è un animale di qualche tipo, ma non posso dire esattamente che tipo di animale sia. In seguito, quando si fa piĂš vicino, realizzo che è un essere umano, e, infine, quando è abbastanza vicino, riconosco Socrate (vedi Normore 2007).
Nonostante questo esempio sembri avere avuto una lunga tradizione (Black 2011), in nessuna occasione giocò un ruolo cosĂŹ importante come nel caso di Buridano e di alcuni suoi sostenitori. Questo esempio mostra come la cognizione è sempre inizialmente a proposito di âquella cosaâ (âquellâanimaleâ, âquellâessere umanoâ) e, infine, a proposito di âSocrateâ. Per questo, secondo questi autori, la cognizione è in primo luogo sempre a proposito di qualcosa di singolare. Si può trovare questo stesso esempio in Giovanni Buridano, Nicola Oresme, Marsilio di Inghen, Pietro di Ailly, Gabriele Biel, e Thomas Hobbes, e tutti questi autori lo usano praticamente allo stesso modo. Si può quindi affermare che questo esempio contribuĂŹ a riformare la teoria del pensiero sviluppata da Ockham (vedi Lagerlund 2006 e Lagerland 2014).
Bibliografia
- Abelard, Dialectica, ed. L.M. de Rijk, Assen: van Gorcum, 1956.
- Adriaenssen, H.T., 2017. Representation and Scepticism from Aquinas to Descartes, Cambridge: Cambridge University Press.
- Avicenna, Avicenna latinus: Liber de anima, ed. van Riet and with an introduction by G. Verbeke, Leiden: Brill, 1968â72.
- Avicenna, Avicenna latinus: Liber de philosophia prima, ed. van Riet and with an introduction by G. Verbeke, Leiden: Brill, 1977â80.
- Black, D., 2011. âAvicennaâs âVague Individualâ and its Impact on Medieval Latin Philosophy,â in Robert Wisnovsky, Faith Wallis, Jamie C. Fumo, and Carlos Fraenkel (eds.), Vehicles of Transmission, Translation, and Transformation in Medieval Textual Culture, Turnhout: Brepols Publishers, 259â292.
- Brentano, F., 1874. Psychologie vom empirischen Standpunkt, 2nd edition, Leipzig: Verlag von Felix Meiner, 1924.
- Cross, R., 2014. Duns Scotus Theory of Cognition, Oxford: Oxford University Press.
- Garlandus Compotista, Dialectica, ed. L.M. de Rijk, Assen: van Gorcum, 1959.
- John Duns Scotus, Iohannis Duns Scoti Doctoris Subtilis et Mariani opera omnia, eds. P Carolus Balic et alii. Typis Polyglottis Vaticanae, 1950â.
- King, P., 2007. âRethinking Representation in the Middle Ages: A Vade-Mecum to Mediaeval Theories of Mental Representation,â in H. Lagerlund (ed.), Representation and Objects of Thought in Medieval Philosophy, Aldershot: Ashgate.
- Klima, G., 2001. Introductionto John Buridan: Summulae de Dialectica, New Haven: Yale University Press.
- âââ, 2009. John Buridan. Oxford: Oxford University Press.
- Knudsen, C., 1982. âIntention and Imposition,â in N. Kretzmann, A. Kenny & J. Pinborg (eds.), The Cambridge History of Later Medieval Philosophy, Cambridge: Cambridge University Press, 479â95.
- Lagerlund, H., 2014. âSingular Terms and Vague Concepts in Late Medieval Mental Language Theory or the Decline and Fall of Mental Language,â in G. Klima (ed.), Intentionality, Cognition and Mental Representation in Medieval Philosophy, New York: Fordham University Press.
- âââ (ed.), 2007a. Representation and Objects of Thought in Medieval Philosophy, Aldershot: Ashgate.
- âââ, 2007b. âThe Terminological and Conceptual Roots of Representation in the Soul in Late Ancient and Medieval Philosophy,â in H. Lagerlund (ed.), Representation and Objects of Thought in Medieval Philosophy, Aldershot: Ashgate, 11â32.
- âââ, 2006. âWhat is Singular Thought? Ockham and Buridan on Singular Terms in the Language of Thought,â in Vesa Hirvonen, Toivo Holopainen and Miira Tuominen (eds.), Mind and Modality: Studies in the History of Philosophy in Honour of Simo Knuuttila, Leiden: Brill, 217â238.
- Normore, C., 2007. âThe Invention of Singular Thought,â in H. Lagerlund (ed.), Forming the Mind: Essays on the Internal Senses and the Mind/Body Problem from Avicenna to the Medical Enlightenment, Dordrecht: Springer, 109â128.
- âââ, 1986. âMeaning and Objective Being: Descartes and His Sources,â in A.O. Rorty (ed.), Essays on Descartesâ Meditations, Berkeley: University of California Press, 223â41.
- William of Ockham. Guillelmi de Ockham Opera Philosophica et Theologica ad fidem codicum manuscriptorum edita, St. Bonaventure, N.Y.: impressa Ad Claras Aquas (Italia), 1967â89.
- Panaccio, C., 2004. Ockham on Concepts, Aldershot: Ashgate.
- Pasnau, R., 1997. Theories of Cognition in the Later Middle Ages, Cambridge: Cambridge University Press.
- âââ, 2003. âCognition,â in T. Williams (ed.), The Cambridge Companion to Duns Scotus, Cambridge: Cambridge University Press, 285â311.
- Perler, D. (ed.), 2001. Ancient and Medieval Theories of Intentionality, Leiden: Brill.
- âââ, 2002. Theorien der Intentionalität im Mittelalter, Frankfurt: Vittorio Klostermann.
- Quintilian, 1921. Institutio oratoria, H.E. Butler (trans.) Cambridge, Mass.: Harvard University Press.
- de Rijk, L.M., 2005. Giraldus Odonis O.F.M.: Opera Philosophica. Vol. II: De intentionibus, Leiden: Brill.
- âââ, 1962â67. Logica Modernorum: A Contribution to the History of Early Terminist Logic, Vols. 1â2, Assen: Van Gorcum.
- Tachau, K.H., 1988. Vision and Certitude in the Age of Ockham: Optics, Epistemology and the Foundation of Semantics 1250â1345, Leiden: Brill.
- Toivanen, J., 2009. Animal Consciousness: Peter Olivi on Cognitive Functions of the Sensitive Soul, Jyvaskyla: The University of Jyvaskyla.
- Tweedale, M., 1990. âMental Representations in Later Medieval Scholasticism,â in J.-C. Smith (ed.)Â Historical Foundations of Cognitive Science, Dordrecht: Kluwer, 35â51.]
Strumenti accademici
Altre risorse in Internet
- Contattare gli autori per ulteriori suggerimenti.
Voci correlate
Aquinas, Saint Thomas | Aristotle, General Topics: psychology | Auriol [Aureol, Aureoli], Peter | Buridan, John [Jean] | intentionality | intentionality: in ancient philosophy | intentionality: medieval theories of | mental representation | Ockham [Occam], William
Copyright Š 2017 by
Henrik Lagerlund <henrik.lagerlund@philosophy.su.se
Traduzione italiana (Inverno 2020) di Giuseppe Colonna